Immagine del biliardino, dalla prospettiva di un portiere.
Foto di Gian Pietro Dragoni, su Unsplash

I fondamenti della matematica (spiegati col biliardino)

Simone Ramello

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Ci sono questioni annose, che ritornano spesso. Dibattiti che rovinano amicizie, distruggono relazioni, avvelenano rapporti. Ci sono punti di rottura profondi, disaccordi fondamentali, episodi per cui non ci si parla più per anni, manco ai funerali o ai matrimoni.

Uno di questi è la faccenda del rullare, o rollare, a biliardino (meglio conosciuto con l’infausto nome di “calciobalilla”). Un breve riassunto per chi è cresciuto in un’epoca post-biliardino: “rullare” è l’azione di far girare completamente la stecca intorno al proprio asse, facendo compiere al calciatore in miniatura un salto mortale. Rullare è tipico del giocatore inesperto (in altre parole, di qualunque adolescente) ed è, per i motivi snocciolati poco sopra, un gesto piuttosto controverso. Le regole di cortile del biliardino si posizionano su uno spettro normativo ampio ed eterogeneo. Da qui le lunghe discussioni e litigi furibondi.

Lungi da me voler risolvere la questione. Ci si può chiedere, tuttavia, come procedere per risolvere un problema del genere. Se le regole minimali e accettate da tutti del biliardino non parlano esplicitamente del rullare, sembra esserci una sola via d’uscita: a partire dalle stesse regole, provare ad dedurre se il rullare sia ammissibile o meno. Per esempio, si potrebbe dire che il regolamento vieta di far girare le stecche “più di 360°”, dunque rullare non è tecnicamente vietato a meno di fare giri multipli. Un argomento del genere, al di là di quanto sia convincente, serve a dimostrare che rullare è una mossa legale (se non si fosse capito, sono pro-rullare).

Sarà forse una sorpresa il fatto che questo è proprio ciò che matematici e matematiche fanno quotidianamente. A partire da certe ipotesi, cercano di concatenare argomenti logici per arrivare alla tesi che desiderano. Questa concatenazione di ragionamenti è ciò che si intende con “dimostrazione”; quando esiste, allora possiamo dire di aver dimostrato un teorema, che non è nulla di più che l’affermazione che da alcune ipotesi segue una certa tesi.

Tutti i teoremi si poggiano su alcune assunzioni di fondo, quelle che vengono spesso ribattezzate “fondamenti della matematica”. Quali siano queste assunzioni di fondo, un po’ come le regole del biliardino, è spesso una questione annosa. La discussione su quali siano i fondamenti corretti va avanti da secoli, un dialogo complesso in cui si inseriscono anche problemi di tipo filosofico. Quello che è certo, invece, è ciò che fondamento non è.

All’inizio del secolo scorso un matematico di nome David Hilbert ipotizza, infatti, che esistano un numero finito di regole di base da cui si possa far discendere tutta la matematica. Hilbert è convinto che si possano isolare degli “assiomi” fondamentali e che, con olio di gomito e sufficiente furbizia, si possano usare come ipotesi per dimostrare tutti i teoremi noti e futuri. In particolare, questo processo di “riduzione” ad assiomi base e universali dovrebbe portare a basare l’intera matematica sull’aritmetica, cioè sulle proprietà di somme e prodotti di numeri interi. Questo piano grandioso passa alla storia come programma di Hilbert, la cui fama è dovuta tanto alla sua ambizione quanto alla sua catastrofica sconfitta.

Una ventina di anni dopo infatti arriva Gödel, che — ironicamente proprio con l’olio di gomito e la furba intuizione che sarebbe servita a completare il programma di Hilbert — costruisce un sistema di codifica che permette di ridurre tutta questa complessa faccenda di assiomi, dimostrazioni e teoremi a controllare l’uguaglianza fra espressioni contenenti numeri interi. L’attività di deduzione, attraverso la cosiddetta “gödelizzazione,” si riduce ad un esercizio delle scuole medie: semplificare una lunghissima espressione, contenente magari decine di milioni di simboli.

Questo sistema di codici gli permette di argomentare che no, non è possibile ridurre l’intera matematica all’aritmetica. In effetti, Gödel realizza che esistono fatti sui numeri interi indipendenti dagli assiomi dell’aritmetica — le regole che governano le operazioni di somma e moltiplicazione, assieme ad un principio più complesso noto come il “principio di induzione”. Un po’ come il rullare, la cui legittimità sembra non essere decidibile usando le regole di base del biliardino, ci sono fatti sui numeri che non si possono giustificare usando le proprietà di base delle operazioni algebriche.

La fine del programma di Hilbert ha aggiunto un tassello a questa consapevolezza che, forse, i fondamenti della matematica sono proprio un problema di regole di cortile. In questo, dimostrare teoremi sembra non essere troppo diverso da una partita a biliardino.

Alcuni riferimenti

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Simone Ramello

Matematico in esilio. Scrivo di matematica e parlo troppo.